Pesca a Mosca e surrogati

In questi ultimi anni stiamo assistendo a frequenti e reiterate discussioni, che si arroventano specialmente nei forum e hanno come argomento la Pesca con la Mosca; in particolare quali tecniche di pesca possano essere considerate Mosca e quali no, e perché. I pescatori sono molto divisi su questo argomento e ciò non giova nè alla categoria, nè tantomeno al sistema. Come spesso accaduto anche in altre realtà, lo smarrimento delle proprie origini e tradizioni possono determinare la perdita di patrimoni culturali preziosi che andrebbero invece conservati e trasmessi alle nuove generazioni.

Solo qualche decennio addietro, in Italia, era molto poco diffusa la pratica di pescare con imitazioni artificiali di insetti e la tecnica Valsesiana o l’uso della “moschera” costituivano l’eccezione, insieme alla ancor più rara e celebrata Pesca a Mosca all’inglese, con la coda di topo e relativa attrezzatura. A quel tempo nel nostro paese le trote fario erano ancora autoctone ed i temoli avevano tutti la pinna blu; i pescatori d’acqua dolce erano già numerosi, ma coloro che pescavano “a mosca” piuttosto rari. Quando si aveva occasione di incontrarne uno lungo il fiume, si salutava con rispetto e ammirazione perché la Mosca era considerata “la pesca difficile”, ricca di chissà quali segreti e alchimie, e paragonarla alle tradizionali tecniche non sembrava davvero possibile. Il Pescatore a Mosca infatti, pareva assumere le sembianze di una creatura venuta da un altro pianeta. Arrivava sul fiume a tarda ora, spesso sul finire del giorno, mentre gli altri cominciavano a riporre canne e picchetti, quasi non fosse venuto per pescare. Generalmente si sedeva su un masso, limitandosi a contemplare lo scorrere delle acque e così rimaneva a lungo, come un passante che necessita di una sosta prima di riprendere il cammino. Poi, di colpo, si rizzava in piedi come destato dal suo torpore ed estraeva e innestava rapidamente una canna ed una lenza molto diverse dalle altre, in cima alle quali legava un insettino peloso. Nel frattempo la superficie si era riempita di creaturine simili ed era uno spettacolo anche soltanto osservare le trote che salivano a ghermirle producendo piccoli e grandi cerchi concentrici. Ce n’erano cosi tante che si faceva fatica ad immaginare dove fossero state nascoste fino ad allora, e il Pescatore sceglieva con cura quelle da insidiare, ignorando le altre. La luce del giorno andava sempre più esaurendosi, e di lì a poco l’incantesimo sarebbe cessato. Sulla superficie sarebbe tornata la calma e la notte avrebbe ingoiato tutto, Pescatore compreso.

Sono trascorsi decenni e succedute generazioni di pescatori, ma l’incantesimo continua a manifestarsi anche se non più con la ridondanza di un tempo, né con gli stessi pesci. La trota cerca continuamente cibo sul fondo e le ninfe costituiscono una parte prevalente nella sua dieta. In certi momenti però si porta in prossimità della superficie, appena sotto quella sottile pellicola che separa acqua e cielo e che, nell’alimentarsi, tende continuamente a deformare e infrangere. In quei momenti produce la bollata che seppure con forme e suoni diversi, rappresenta il marchio di fabbrica della Pesca a Mosca e con essa si identifica. In presenza di una schiusa, o anche estemporaneamente, non esiste Pesca a Mosca senza la bollata. La Pesca a Mosca è diversa da tutte le altre e chi la sceglie lo fa per cimentarsi con alcune problematiche complesse dalla cui soluzione trae gioia e appagamento. Non la cattura dunque; quella è solamente una conseguenza, non il fine.

L’uomo ha utilizzato per millenni esche come vermi, larve, insetti terrestri, pesci, pane e altre sostanze commestibili con cui farcire i propri ami. Poi, un bel giorno, un uomo un po’ più curioso o sensibile, di fronte allo spettacolo di trote che appostate sotto il pelo dell’acqua risucchiavano delicatamente gli insettini eterei che, adagiati sulla superficie, venivano trasportati dalla corrente, sentì dentro di se l’irrefrenabile stimolo di provare a catturare quelle stesse trote utilizzando quelle stesse esche. E’ da lì che nasce tutto, data l’impossibilità di innescare un’effimera su un amo. L’uomo di cui sopra, così fortemente stimolato, dovette rassegnarsi a riconoscere che con le attrezzature di cui disponeva non era assolutamente possibile innescare e lanciare esche così esili.

Evidentemente però le sue motivazioni non furono sopraffatte dai limiti tecnici dei suoi strumenti, visto che egli imparò prima a costruirsi (non senza difficoltà) le prime imitazioni di insetto (che considerato ciò di cui disponeva dovevano assomigliare molto poco agli originali, ma i pesci erano tantissimi e meno smaliziati di oggi) e contestualmente provò e riprovò a realizzare una canna e soprattutto una lenza avente le caratteristiche adatte a proiettare “esche senza peso”. La pesca a mosca rappresenta il gusto per il difficile oltre che per il bello, e anche un uomo non più primitivo, ma neanche troppo moderno, pur dovendo ogni giorno far fronte agli stimoli della fame, possiede dentro di sé degli stimoli ugualmente forti che lo spingono verso la creatività e l’arte, piuttosto che verso la cruda praticità del quotidiano.

Questo percorso irto di difficoltà di ogni genere, eleva coloro che avvertono lo slancio di affrontarlo in una dimensione superiore, che consente di godere ogni momento di ogni uscita di pesca indipendentemente dalle catture e dalla bellezza del contesto naturale in cui sono immersi. Nella pesca siamo soliti ridurre, o eliminare, ogni ostacolo frapposto tra noi e la cattura. Nella Mosca, al contrario, ricerchiamo le difficoltà. Una mosca non deve dragare e la soluzione potrebbe consistere nel portarsi a monte del pesce e srotolare man mano la lenza fino a fargli arrivare l’esca davanti al muso. Questo nella pesca. Nella Mosca, attraverso lo studio, l’impegno e l’esercizio continuo, si può coltivare l’abilità che ci consente di risolvere diversamente lo stesso problema. Queste differenze, enormi, afferiscono a dimensioni culturali lontanissime tra loro.

Quando è in atto una schiusa di effimere, la trota si porta a pelo d’acqua dove sono presenti gli insetti in tutti gli stadi. Ci sono le ninfe mature, che emergendo dal fondo si sono portate sotto il film. Alcune vi arrivano ancora integre, mentre molte altre presentano una spaccatura in corrispondenza della sacca alare, attraverso la quale le future subimmagini tenteranno di fuoriuscire. Non tutte avranno identico destino. Qualcuna morirà annegata, altre usciranno illese dai loro involucri intrappolati nella pellicola superficiale, e qualche insetto aericolo già libero dall’esuvia tenterà, con esito incerto, di forare la tensione superficiale oltre la quale c’è l’aria di cui già necessita. La maggior parte degli insetti, derivano sulla superficie nella attesa di asciugare le ali e scaldare i muscoli, prima di poter volare via. Con il trascorrere del tempo arriveranno anche le immagini e infine le spent. In pochi centimetri, separati da un nulla, si trovano gli insetti in ogni loro stadio e le trote si pescano a Mosca.

La pesca a ninfa è una cosa diversa e, nel tempo, è mutata divenendo un equivoco, trasformato successivamente in sotterfugio. La ninfa era un’esca, imitante uno stadio evolutivo importante. E’ stata trasformata in un sistema, del tutto in contrasto con il sistema Mosca ed i suoi principi. La Mosca ha sempre avuto ed ha tutt’ora, dei limiti di spazio e di tempo, oltre i quali non è produttiva in termini di catture come le altre tecniche, ma non se ne cura perché ha ben altri fini. Una trota di taglia ferma sul fondo di una buca profonda, può essere osservata e studiata per capire in quali situazioni ed orari si porterà in caccia in acque basse. Lo studio è alla base della Mosca e nel tempo consente di ottenere risultati incredibili. Ci sono molti pescatori che non amano studiare, né impegnarsi per ottenere tali risultati, e soprattutto non accettano l’idea di dover investire il tempo necessario. Vogliono tutto e subito. Costoro sono molto attratti da un sistema alternativo alla Mosca, che consenta di catturare continuamente, tutto il giorno, perché la cattura è il loro unico fine. La trota di taglia sul fondo della profonda buca la insidiano in tutt’altri modi e tempi. Nessuno studio e nessuna particolare osservazione, bastano una o più ninfe piombate con qualche grammo di tungsteno, un finale adatto, magari piombato anch’esso ed una coda scelta di conseguenza, e la cattura diventa assai probabile.

Questa non è Pesca a Mosca, ma soltanto una squallida imitazione, laddove lo squallore è la conseguenza del sotterfugio. Questo modo di concepire la cattura di una trota trae ispirazione dalla Pesca al Tocco, che nel nostro paese vanta una grande tradizione ed è molto efficace. Lo squallore è duplice in quanto questo sistema alternativo alla Mosca non è che un surrogato del “Tocco” o della “Passata”, con l’uso di attrezzatura per coda di topo. Quest’ultimo aspetto poi, rappresenta una forzatura ed un alibi. Forzatura perché, per lanciare quelle ninfe farcite con palle di piombo o tungsteno, sarebbero molto più indicate e performanti le normali canne da lancio con relativo mulinello tradizionale, piombatura scalata sulla lenza e galleggiante classico quando serve. In questa maniera, l’azione di lancio e di pesca risulterebbero molto più pulite e piacevoli e meno stancanti. In fondo si stanno usando le versioni artificiali delle stesse esche naturali, per il cui uso queste attrezzature sono state concepite e nel tempo evolute. Alibi, perché grazie all’utilizzo di attrezzature per coda di topo, per quanto inadatte e inappropriate, queste persone si autodefiniscono Pescatori a Mosca. Nella realtà invece, sono soltanto dei pescatori tradizionali che si arrogano false credenziali.

Basta andarsi a cercare l’elenco dei Mosca Club attivi sul territorio nazionale, per appurare che nel 90% dei casi il simbolo scelto come emblema raffigura una mosca secca, o un pesce che staziona a galla, o che sale in superficie a prendere un insetto, che è quasi sempre un’effimera, dun o spinner. Non ne esiste neanche 1 che sfoggi una ninfa o un’immagine che richiami questo sistema di pesca e men che meno, che faccia riferimento a esche piombate, altre zavorre e galleggianti. L’iconografia ha sempre avuto grande importanza nella storia dell’uomo e la Mosca non fa eccezione. Questo a dimostrazione di quanto ho scritto all’inizio, parlando dell’identità della Mosca, dei suoi principi e delle finalità, nelle quali la cattura è soltanto il fine ultimo, ma non certo unico. La Mosca non vuole e non deve essere concepita per sfoggiare atteggiamenti inclini a presunte superiorità, ma non può in alcun modo rappresentare un paravento per i molti che, abusando del suo titolo, praticano sistemi di pesca più essenziali, già esistenti, e unicamente rivolti a catturare un pesce dietro l’altro.

Alcuni di costoro accampano le scuse più incredibili e patetiche, nel tentativo di ricondurre le loro personali prospettive all’interno del sistema Mosca, che non può e non potrà mai accoglierle, perché vuole continuare ad essere diverso, come diverso è l’approccio di una trota verso una mosca che galleggia in superficie rispetto al suo consueto “brucare” sul fondo. Ho letto alcune esternazioni di questi “pescatori tradizionali che utilizzano attrezzature con coda di topo”, i quali ritengono che piombare le ninfe, i finali, usare galleggianti e altri ammennicoli, rappresenti addirittura un’evoluzione nel campo della Pesca a Mosca. Insistono dicendo che nel mondo, gli altri, lo fanno da decenni, che si sono scritti libri e manuali per insegnare a farlo e se in Italia persiste questa riluttanza nei confronti del “nuovo”, è perché siamo privi di una cultura della Pesca a Mosca.

Voglio rispondere a questi millantatori, comparsi dal nulla, autocelebratisi come “esperti” e che hanno incominciato a riprodursi con una velocità preoccupante, che in Italia la cultura della Mosca esiste già senza bisogno del loro discutibile contributo, con delle eccellenti peculiarità che essi stanno cercando di demolire e che vanno invece conservate e protette da ogni tentativo di contaminazione. Ogni anno nel mondo, si producono e consumano migliaia di tonnellate di “parmesan” per la soddisfazione di imprese e consumatori di tale sottoprodotto che tutti ben conosciamo ed evitiamo. Di “Parmigiano DOC” se ne produce e consuma assai meno, perché necessita di molto più tempo, impegno e cura. Frutta molto meno e costa infinitamente di più, ma ne basta una lieve spolverata nel piatto per accorgersi della differenza. E’ tutt’altra cosa, proprio come la Mosca. La canna da mosca è stata inventata per lanciare ami ricoperti da pochi giri di filo e una manciata di fibre, e grazie al grande patrimonio tecnico sviluppato in Italia, è divenuto uno strumento con cui si possono produrre cose meravigliose, che al mondo nemmeno si sognano. Proprio come accade per gli strumenti musicali, le differenze possono essere enormi tra coloro che strimpellano e gli altri che suonano. Le stesse differenze che separano un violino o un pianoforte dai piatti o dalla grancassa, definiti anch’essi strumenti.

Non ritengo, ne auspico, che in futuro la pesca debba essere praticata da tutti esclusivamente a “mosca secca”, ma è doveroso chiamare le cose con il proprio nome e poterle riconoscere per ciò che sono e rappresentano, senza contraffazioni nè imbrogli. Il piombo, il galleggiante, e le catture in serie dei pesci appartengono ad un altro mondo. E’ anch’esso un mondo di svago che può offrire divertimento ed emozioni a chi vuole, ma nell’Universo della Pesca è confinato in un’altra galassia.

 

Mauro Nini