Per prendere una trota

PER PRENDERE UNA TROTA

di Vanni Marchioni

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Per prendere una trota occorre innanzitutto saper apprezzare la natura, nelle sue poliedriche versatilità. E dunque conoscerne i grandi pregi, così come i grandi limiti che correttamente ci impone quando si sconfina oltremodo e oltremisura. Occorre sapersi immedesimare, mimetizzare, perfino entrare a farne parte senza eccedere in ampiezza o troppa dimestichezza. È necessario amarla, come in un certo senso si ama una donna nel suo insieme, per quanto spesso possa risultare incomprensibile a noi uomini mortali. Occorre amarla e al contempo rispettarla, in ogni infinitesima accezione essa voglia palesarsi. Essere in grado di guardarsi attorno è un buon primo passo, nell’intento consapevolmente folle di voler prendere una trota. Ma non basta, è sottointeso. Data per buona, data per amata, la natura va saputa leggere. E qui viene il bello. Va saputa leggere tra le righe e tra le rughe delle sue montagne, prima ancora che sullo specchio d’acqua corrente che da esse scaturisce. Va saputa interpretare e intimamente rispettare.

E quando finalmente si giunge al fiume che scorre e quando le sue correnti premono sulle gambe, tra le sue lame e le sue insidie bisogna saperne cogliere le grandi potenzialità e possedere gli strumenti per goderne appieno, a piene mani, come avviene per tutte quante le piccole e grandi verità. Sul pelo dell’acqua che cosa succede e che cosa si muove appena al di sotto di esso? Gettiamo in corrente un piccolo pezzo di legno e vediamo quale sarà la sua destinazione, seguiamo il suo corso e leggiamo le mappe dell’acqua. Sfogliamole come un quotidiano. Per prendere una trota è fondamentale saper leggere le correnti. Entriamo a fare parte della  natura, silenziosi come un felino. Facciamo grande attenzione a muoverci con cautela, qualsiasi imperdonabile rumore sommesso può significare il fallimento del nostro intento. Un passo avanti, con circospezione degna di una leonessa che attende di spiccare il balzo che rivelerà la sua presenza, una volta per tutte e comunque troppo tardi per la sua preda. Per prendere una trota bisogna sapersi muovere, nella natura. Una volta raggiunta la posizione di caccia che reputiamo ideale, un ultimo sguardo alle correnti e poi l’attesa. L’attesa di un segnale rivelatore oppure la scelta ragionata del volersi misurare con un angolo di paradiso semisommerso da vegetazione ripariale nel quale pensiamo possa nuotare un salmonide di piccole o grandi dimensioni, poco importa. Ci vuole una buona dose d’esperienza per pensare come un pesce. Attesa. Alziamo lo sguardo e vediamo che cosa ci racconta il piano superiore di questo meraviglioso condominio: vola un insetto. Serve conoscenza. È essenziale saperlo collocare in una casellina della memoria che ne determina in modo equivocabile la famiglia d’appartenenza e la sottospecie peculiare. E occorre vederci bene, perché i dettagli possono avere una certa importanza.

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Per prendere una trota bisogna aver più di un rudimento di entomologia, bisogna aver le idee chiare, c’è una bella differenza. E ancora non basta, occorre grande manualità, perché per prendere una trota ci vuole una buona mosca. E una buona mosca si costruisce in varie fasi, in diversi momenti: il primo riguarda la conoscenza dell’insetto, quello vero, appunto. Di conseguenza viene la padronanza dei materiali, il loro utilizzo, le loro caratteristiche e funzionalità d’uso.

imitazione chironomiQuando tutto questo è compreso e assodato, arriva la manualità. E si rende necessario un buon rodaggio, tanto tempo passato davanti a un morsetto, serate d’inverno a tentar di realizzare una buona imitazione di quello stesso insetto che sappiamo schiuderà verso sera, una bella sera d’estate, e che manderà i pesci in fibrillazione, in euforia alimentare. Quell’insetto lo costruiamo noi, con le nostre mani, scegliendo le piume migliori e avvolgendole attorno a un amo che ben rappresenti le dimensioni reali del nostro modello. Parte della trota la prendiamo al morsetto, una sera. Con un bicchiere di whiskey al nostro fianco, un libro aperto alla pagina “plecotteri”, piuttosto che altro, e tanta immaginazione, tanta voglia di prenderla davvero quella benedetta trota.

Torniamo sul fiume, con il corpo e con il berretto ben calzato sui nostri pensieri di grandezza. Leghiamo al finale l’imitazione prescelta; siamo esperti in nodi scorsoi e serrati marinari, che stringono due cime in fase di sollecitazione del finale. Il finale. Per prendere una trota bisogna saper pensare e gestire un finale, a seconda di quale lancio intendiamo eseguire e di quale situazione di pesca desideriamo affrontare. Dobbiamo realizzare un finale che sia capace di portare all’apice della sua finalità – gioco di parole, la mosca naturalmente – tutto il carico che si porta appresso il lancio prescelto e tutte le serate invernali di cui sopra; il finale è il cordone ombelicale tra la nostra attesa e la sua finalità. Gioco di parole. Il finale dovrà a nostro piacimento stendersi o raggrupparsi sul pelo dell’acqua, creare o disperdere energie e tensioni, avvolgersi e danzare, piegarsi, torcersi e contorcersi, reggere all’urto improvviso nel momento più opportuno.

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Che può essere il momento in cui la mosca incontra accidentalmente quel rametto leggermente più sporgente degli altri, sull’albero alle nostre spalle. Il che avviene solitamente in fase di momento-spinta, quando le tensioni sono al massimo del loro potenziale e tutto è pronto per scaricare in acqua la potenza accumulata in precedenza. Per prendere una trota occorre perdere qualche buona mosca sulla vegetazione. Alla fine dei conti se ne perdono davvero tante, spesso quelle che reputiamo migliori, ma questo è un dato puramente soggettivo. È purtroppo fisiologica la perdita di qualcosa d’importante, nella vita come nella pesca con la mosca, bisogna farsene una ragione e andare avanti. D’altra parte la trota rischia la vita e noi pescatori non possiamo rischiare una mosca? E dunque ci troviamo ad aprire nuovamente la scatola delle meraviglie e a scegliere una nuova imitazione, altrettanto spensierata e al contempo studiata in ogni minimo dettaglio, da lasciare appesa assieme a qualche fantasiosa imprecazione al ramoscello del successivo arbusto che si sporge maliziosamente sull’acqua. Sì, perché per prendere una trota occorre camminare a lungo. In salita. Controcorrente. E spesso l’acqua che ci viene incontro s’incanala irriverente e insinuosa nei nostri stivali a coscia. E non è sempre piacevole, d’inverno lo è molto meno che d’estate. A volte basta un centimetro di distrazione e un rivolo inatteso arriva a nuova destinazione. E con i piedi bagnati, un bagaglio etico e culturale da far invidia a una squadra ben nutrita di specializzati idrobiologi ed entomologi, la manualità calligrafica di uno scribano medievale e lo spirito di un bambino che vuole scoprire il mondo, eccoci a selezionare un lancio tecnico che ben si presti all’uopo: osservate le correnti e le loro affascinanti peripezie e successivamente valutate le difficoltà imposte dalla vegetazione perineale, per poter scegliere un lancio – e di conseguenza poter prendere una trota – è necessaria una buona dose di consapevolezza tecnica. Occorre conoscere la dinamica delle varie possibilità, aver comprese l’essenza e le funzionalità dei lanci che intendiamo eseguire e (cosa mica da poco!) saperli poi realizzare. Non perdere il ritmo, la direttrice, l’asse, il tempo, la concentrazione; attendere il momento migliore per spingere in avanti la nostra imitazione, con grande velocità oppure smorzandone l’effetto. Stendere, curvare, raddrizzare, raggruppare. Il tutto in un secondo, in una frazione di secondo. Passando a un pelo dalla superficie dell’acqua e a un centimetro dal cavolaccio sporgente, dobbiamo entrare là, dove non batte il sole. In quell’anfratto dimenticato da Dio o da chi per lui ha voluto collocarci un bel pesce in attesa di un insetto da carpire, predare, attaccare alla prima occasione utile gli si presenti innanzi. Leggerezza e velocità.

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Ma la velocità è nulla senza controllo e precisione d’esecuzione. Con la mano destra si lanciano saette e con la sinistra si depositano piume. Per prendere una trota occorre tutto questo. Se alla somma degli addendi di cui sopra i conti tornano e se alla somma degli addendi si aggiunge un pizzico, un nonnulla, quanto basta (che non guasta) di fortuna…arriva il risultato sperato e dovuto e voluto. Fortemente voluto. Di ogni trota catturata ne abbiamo presa una parte al morsetto in inverno, una pinna mentre entriamo in acqua, un’altra mentre studiamo quello che riteniamo essere il migliore approccio, una squama per mezzo del lancio, una per la posa, una per la ferrata, per il controllo, per il rispetto che ne deriva e così via. Per prendere una trota ci vogliono passione e perversione, autocontrollo e perseveranza, conoscenza etica e tecnica, tanta voglia e altrettanta umiltà.

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