Guarda che bollata!

Guarda che bollata!

(di Roberto Pragliola)

<< Guarda che bollata! >> gli occhi di Giancarlo Ferroni sfavillavano.

<< E’ una trotella! >>

<< Come una trotella? Un accidente che è piccola!>>

La trota aveva bollato sulla riva opposta. Nel mezzo una specie di minuscola isoletta con qualche arbusto e un paio di tronchi d’albero mozzi spaccavano in due quel corso d’acqua. Per attaccarla avremmo dovuto saltare su quella lingua di terra, e quel salto non era uno scherzo. Cercai di distogliere Giancarlo, il Gianka come lo chiamavamo, da quell’idea balorda. Purtroppo, nel tentativo di dissuaderlo, dissi la cosa peggiore: il salto era troppo lungo. Giancarlo esplose in una serie d’insulti rabbiosi. Mi disse che stavo invecchiando, che un tempo sarei stato il primo a saltare, che non ero più un pescatore, ma un cagnolino da salotto e quanto di peggio gli venne in mente.

Pioviscolava da ore. Una nebbiolina fine, quasi una lanugine, agitata qua e là da un alito di vento, ci avvolgeva, ci scopriva, per poi riavvolgerci facendoci apparire e scomparire come fantasmi. I livelli erano alti, l’acqua leggermente opalina, la corrente ruggiva rimbalzando sulle pietre e contro i tronchi degli abeti.

La trota bollò nuovamente. Gianka iniziò la solita solfa. Io gli obiettai le stesse cose. Lui insistette, sostenendo che la riva dove ci trovavamo era più alta rispetto all’isolotto. Il salto non era così difficile come sembrava. Io gli opposi le solite resistenze. Lui riprese a insultarmi. Andò a finire come temevo. Infagottati negli impermeabili, prendemmo una goffa rincorsa. Come mi sollevai da terra percepii con un brivido tre cose: il ruggito dell’acqua che si contorceva sotto i miei stivali, quella specie d’isola che pareva ancora più distante e la netta sensazione che non gli e l’avrei mai fatta. E difatti piombai in acqua a ridosso di un cespuglio ai bordi dell’isoletta. Annaspai comicamente perché non so nuotare. In qualche modo riuscii ad abbrancare un ramo. Mi issai sulla riva. Giancarlo se la rideva. Iniziò a sfottermi. Lui gli e l’aveva fatta. Solo allora mi resi conto che non avevo la canna. Per fortuna era rimasta impigliata in quel cespuglio. Mentre ne stavo controllando le condizioni, udii Giancarlo urlare:

<< Ha bollato di nuovo. E’ mia! >> Sempre urlando è mia è mia, si scagliò contro quella bollata come una furia. La sua Marvel grondava acqua mentre muoveva lentamente la coda nell’aria. Vidi la sua Bi-Visible rossa e bianca sballottata dalla corrente, la trota salire a prenderla, Giancarlo ferrarla con la solita violenza e poi tirarla a se tenendo la canna con due mani in una specie di tiro alla fune ululando che trota Roberto, che trota. Tutto si risolse velocemente.

<< E’ piccola. >> dissi con cattiveria. Giancarlo mi piantò gli occhi addosso rabbuiato.

<< Cosa! >> Urlò.  << Un tempo non avresti mai detto una cosa del genere. >> poi aggiunse, guardandomi cattivo.

<< Da quando in qua valuti una cattura in rapporto alla sua mole.  E’ questo ciò che conta per te, ora? E invece è bellissima. E ancora più bello è quello che abbiamo fatto per prenderla. >> Continuò a battere questo chiodo senza pietà. Poi, sbollita l’ira, guardando la riva opposta priva d’appigli cui aggrapparsi, per giunta più alta, la corrente che saettava, l’acqua che ruggiva, aggiunse ghignando.

<< E ora saltiamo di nuovo dall’altra parte. >>