High Stick or Netheravon

HIGH STICK OR NETHERAVON 

(di Claudio Carrara pubblicato su Mosca & Spinning)

Un tuffo negli abissi della pesca a ninfa, nelle sue diverse applicazioni e interpretazioni, alla scoperta di una tecnica che, a differenza di altre, sembra in continua evoluzione, utilizzando una chiave metaforica che evidenzia tutti i dubbi e le incertezze che attanagliano il moderno pescatore a mosca .

L’ANTEFATTO

Serio e compassato, passeggiando lungo rive erbose, il moderno Hamlet Flyangler osserva una grossa scatola di ninfe, incerto sul come e quando utilizzarle.

Decaduto dal rango nobiliare di principe, la vita e le avverse vicissitudini lo hanno portato  lontano dal castello di Elsinore così come dai fasti e dai terribili intrighi di corte, condannato all’immortalità per la sua grave incapacità a compiere quanto sapeva era giusto fare, vaga ramingo da secoli per un mondo che lo ha visto sempre meno protagonista della ribalta politica, ma sempre più vicino alle sue personali inclinazioni, che lo hanno portato un lontano giorno di oltre un secolo fa alla scoperta della pesca con la mosca, ed eccolo nei nostri giorni sulle sponde del fiume Avon, patria della pesca con le esche sommerse.

E’ una bella e colorata giornata di inizio autunno, i forti bagliori di un sole ormai tiepido esaltano il giallo ed il rosso delle foglie ormai prossime a coprire come un variopinto tappeto il verde delle rive; densi fasci di luce filtrano tra le fronde creando luminose finestre nelle acque limpide e tranquille, nelle cui profondità è facile osservare alcune trote intente a cibarsi delle numerose ninfe di effimera prossime alla schiusa.

I loro movimenti e la calma che dimostrano, lasciano intendere chiaramente le loro intenzioni di nutrirsi ignorando totalmente la presenza del nostro eroe a pochi metri da loro.

Per sua natura incline al dubbio e all’incertezza, Hamlet scorre con lo sguardo le sue ninfe ben disposte e ordinate per taglia, colore e peso, perplesso su quale legare al finale e, particolare non trascurabile, sul modo di usarla, essendo venuto tempo fa a conoscenza di nuove tecniche di pesca con la ninfa, di cui ha cercato di approfondirne le caratteristiche.

Forte di secoli di storia e sapienza, avendo avuto modo di conoscere e di pescare con i grandi nomi del passato della pesca a ninfa, si interroga sulla sua condizione di pescatore postmoderno combattuto tra la necessità di cattura e la piacevolezza del gesto, tra l’efficacia e la bellezza, tra l’essere o non essere rispettosi delle tradizioni tramandate dai padri di questa tecnica.

E’ ancora vivo nella sua mente il ricordo delle lunghe chiacchierate con l’austero GEM Skues nel “The hatch pub” a Stockbridge – Hampshire, lungo le sponde del River Test, più che di un dialogo si trattava di vere e proprie lezioni di pesca e di entomologia, tenute da un personaggio che ha diviso la sua vita tra la legge e l’osservazione del comportamento dei salmonidi.

I RICORDI

Le sue “spregiudicate” teorie fecero scalpore nei primi anni del novecento, Minor Tactics of the Chalk Stream fu soltanto il primo approccio ad un nuovo modo di interpretare la pesca nei chalk stream inglesi, apparvero le prime imitazione di ninfa galleggiante (non appesantita) sovvertendo alcune regole ormai consolidate che volevano l’uso esclusivo delle winged wet fly, trovando la definitiva consacrazione nella sua opera Nimph Fishing for the Chalk Stream Trout che può essere considerata a tutti gli effetti la base delle moderne teorie sulla pesca a ninfa.

Hamlet ascoltava estasiato, cercando di cogliere l’essenza dei suoi insegnamenti e quando questo si concretizzava in una bella cattura il cuore gli si riempiva di gioia nella certezza che, per una volta, era riuscito a prendere una decisione “importante” che si era rivelata vincente, andava a pescare tutti i giorni, instancabilmente, sempre con maggiori energie, mentre il suo amico si faceva sempre più vecchio e stanco.

GEM Skues, oramai alle soglie dei 90 anni, gli parlò un giorno di un giovane keeper che aveva conosciuto e con cui aveva una stretta relazione epistolare basata sulle loro osservazioni sul comportamento delle trote in relazione alla pesca con le ninfe, tecnica che Frank, questo era il suo nome, aveva sviluppato e approfondito con modalità del tutto originali rendendola ancora più efficace.

Frank Sawyer esercitava la sua professione di guardiapesca, e naturalmente pescava, in un corso d’acqua non lontano dal luogo dei loro incontri, il fiume si chiamava Avon e sentì subito una forte attrazione per quei luoghi dove non era mai stato ma che, per una misteriosa alchimia dovuta forse ai trascorsi di un suo conoscente, gli erano stranamente familiari.

Il tratto di Avon che era stato affidato alle sue attenzioni era la riserva in gestione al circolo degli ufficiali della Reale Artiglieria Britannica, zona che conosceva perfettamente avendola frequentata sin da bambino pescando in un modo che potremo definire “non autorizzato”.

L’incontro con Frank avvenne in una scintillante mattinata di luglio, da lui considerato il mese migliore per praticare la sua tecnica di pesca, lo stava aspettando seduto su una rudimentale panchina in una magnifica zona dove il fiume forma un’ampia curva con le erbe che a momenti affiorano in superficie, negli ampi spazi sgombri dalla vegetazione, numerose trote si staccano ritmicamente dal fondo per ghermire le loro prede a mezz’acqua.

Hamlet, rapito da questa atmosfera idilliaca, osserva estasiato pensando che, se mai ci fosse stato un paradiso, doveva senz’altro assomigliare a questo posto.

Indeciso, ma estremamente curioso, chiese immediatamente al suo nuovo amico se mai ci fosse stato un modo per tentare quelle trote che evidentemente non sarebbero mai salite sulle ninfe galleggianti di Skues; sorpreso dalla sua perspicacia Frank gli mostra senza indugio la sua scatola di ninfe, dove facevano bella mostra di sé alcuni modelli assolutamente innovativi, imitazioni dall’aspetto estremamente sobrio, essenziale e sconcertante per la loro semplicità, ma che lasciavano intendere tutta la loro devastante efficacia.

Certamente non poteva prevedere che una di quelle ninfe, la Pheasan’tail, sarebbe stata la ninfa più utilizzata in assoluto nei prossimi cento anni, non poteva immaginare che quel gomitolo di lana da rammendo di colore beige chiaro dalla forma piuttosto goffa, sarebbe stata così catturante da  determinare la scomparsa dei temoli, al tempo ritenuti infestanti, in quel corso d’acqua.

Frank Sawyer gli illustrò le caratteristiche delle sue ninfe, spiegando che la grande innovazione era nel materiale utilizzato, del sottile filo di rame, al posto della seta, e questo accorgimento oltre a renderle molto robuste, ne consentiva l’affondamento in modo del tutto naturale, portandole alla profondità in cui le trote erano in attività.

Hamlet, perplesso, osservava le due Pheasan’tail su amo del 14 che Frank gli aveva dato da provare, non riusciva a comprendere come queste piccole imitazioni potessero avere la capacita di vincere la resistenza dell’acqua e gli attriti sul finale per guadagnare rapidamente la profondità.

Rotti gli indugi fece alcuni lanci in direzione di una bella trota che stazionava a un metro circa di profondità, a valle della sua posizione.

Ovviamente questi non sortirono alcun risultato, la sola cosa che riuscì ad ottenere fu la fuga del pesce terrorizzato dalla vistosa scia lasciata dalla ninfa trascinata in superficie, Frank non aspettava altro per introdurre al suo nuovo allievo la sua vera intuizione, quella che sarà universalmente ricordata come la ninfa ”Netheravon style”

Con voce suadente ma decisa, introdusse al suo amico le motivazioni che erano alla base di questo nuovo stile di pesca, queste si basavano essenzialmente sulle sue lunghe osservazioni del comportamento delle trote in relazione alle schiuse di effimere, in particolare nei lunghi periodi in cui queste si staccano dal fondo o dalle alghe per nuotare verso la superficie.

Alla base di tutto troviamo il comportamento molto dinamico che si osserva nelle ninfe in fase di schiusa, queste si muovono molto costringendo le trote a quegli spostamenti laterali, tipici della predazione di efemerotteri in emergenza.

Lanciando “up-stream” la ninfa è libera di scendere verso il fondale, risulta quindi necessario calcolare la profondità e la velocità della corrente in relazione al peso della ninfa per sapere quanto a monte è necessario depositarla.

Capacità tecnica ed esperienza sono i due fattori che permettono al pescatore di individuare dove lanciare, le successive correzioni della coda consentiranno di evitare che la ninfa venga sollevata verso la superficie, trascinata dalla corrente.

Hamlet iniziò a comprendere la grandezza di quest’uomo che da solo, con i pochi mezzi che possedeva e la scarsa cultura ricevuta nell’età scolare, aveva aperto un nuovo scenario nella pesca con la mosca, collocandosi a tutti gli effetti tra i grandi di questa tecnica.

NETHERAVON STYLE

La tecnica elaborata da Sawyer risulta idonea a molti corsi d’acqua, anche se trova il suo terreno d’elezione nei chalk stream e nei fiumi con caratteristiche simili.

E’ possibile applicarla con diverse modalità; la più spettacolare ed affascinante è sicuramente quando è possibile vedere il pesce, e questo accade molto frequentemente nei fiumi dove questa tecnica è nata.

Una volta avvistata la trota è necessario studiare il lancio in modo da non disturbarla con i ripetuti volteggi sopra alla sua testa: vi posso garantire che le trote vedono benissimo la coda, in particolare quelle dai colori sgargianti che emanano forti bagliori di luce.

Una volta effettuata la posa molto deve essere affidato all’intuizione e all’esperienza, è molto difficile, praticante impossibile, vedere una Pheasan’tail o una Grey Goose sott’acqua ( per rispetto al suo ideatore ho nominato le sue due più celebri ninfe ), è necessario quindi intuire quando la ninfa è arrivata esattamente nei pressi del pesce perché è in questo momento che è necessario sollevarla per imitare il movimento dell’insetto in fase di risalita.

Sawyer attribuisce a questo movimento di risalita un grande potere adescante, essendo in grado di dare vita ad un artificiale dall’aspetto forse poco attraente.

Ad onor del vero devo dire che ho catturato molte trote utilizzando la tecnica Netheravon in dead drift, con la ninfa inerte che scende la corrente e la trota che si sposta per prenderla con decisione. Cosa vuol dire questo? Assolutamente niente. La tecnica qui descritta è stata concepita in questo modo e sono certo che trova la sua massima efficacia, anche e soprattutto con trote molto restie, attraverso l’animazione.

Apprendere il modo corretto di sollevare la ninfa non è facile come sembra, non basta alzare la vetta della canna a casaccio per ottenere il risultato voluto, deve essere un movimento controllato, si deve conoscere esattamente la sua reazione ad una sollecitazione anche minima perché è molto facile rovinare tutto con un movimento incontrollato, che fa schizzare via la ninfa verso l’alto come un missile.

Sawyer propone quindi una diversa applicazione di questa tecnica nei momenti in cui non è possibile osservare trote in attività, si tratta di una pesca di ricerca, più o meno come avviene anche a mosca secca, che ha come obiettivo l’individuazione di della zona dove si pensa possa essere una trota in caccia, e sarà questo il punto in cui sollevare la ninfa.

Mentre nella prima tutto avviene più o meno sotto i nostri occhi, nella pesca di ricerca ci troviamo ad affrontare forse la maggiore difficoltà della pesca con la ninfa: la percezione dell’abboccata.

–  … per quanto riguarda la ninfa, voi vi accorgerete che il pesce ha preso in bocca l’imitazione quando i vostri occhi avranno imparato a capire ed interpretare i movimenti del pesce sott’acqua – con queste parole Sawyer sintetizza, nella sua opera “Nymphs and the trout” la difficoltà di capire il momento esatto in cui ferrare.

Per quanto mi riguarda ho pescato e pesco molto in fiumi con caratteristiche di chalk stream, per cui so bene cosa intende l’autore quando dice “comprendere e interpretare” i movimenti del pesce; un’abboccata può essere rilevata da un bagliore improvviso, da una perturbazione anomala della superficie, da un’alterazione del drift del finale, si tratta insomma di considerare alcuni elementi che con l’esperienza risultano determinanti per essere pronti a ferrare prima che la trota sputi la ninfa.

In effetti il tempo a nostra disposizione è molto limitato e spesso la trota prende la mosca con delicatezza, per cui non avremo un’evidente trazione sulla coda come accade nelle acque veloci, mi è capitato diverse volte di ferrare e trovare la trota più sulla sensazione dell’abboccata che su un accadimento preciso, come del resto sono assolutamente convinto di aver perso un numero molto alto di pesci perché non ne avevo assolutamente percepito l’abboccata, ma certamente non lo saprò mai.

Alcuni esperti pescatori a ninfa preferiscono costruire le proprie imitazioni con materiali morbidi, ma soprattutto con materiali che non diano alla trota l’immediata sensazione di “artificiale” determinando l’immediato rifiuto, da qui la fortuna conosciuta in certo periodo dalle ninfe realizzate in strisce di pelle che, una volta bagnata, assume una morbidezza che ci consente qualche frazione di secondo in più per la ferrata.

Il lancio deve essere deciso senza risultare brusco, si deve sempre tenere a mente che si sta lanciando un artificiale comunque appesantito e quindi la coda deve possedere la necessaria velocità per evitare che la ninfa perdendo quota tocchi la superficie durante i volteggi.

Lanciare un artificiale appesantito richiede una sensibilità e un’abilità particolare per un motivo molto semplice: a differenza di una comune mosca galleggiante, che durante la sua traiettoria tende a frenare il lancio in misura maggiore in base al suo volume, una ninfa, al contrario, si differenzia per due  caratteristiche: estrema aerodinamicità e peso.

Questi due fattori la rendono in un certo senso parzialmente indipendente dalla coda di topo, che ha si una funzione ti trascinamento come per la mosca secca, ma questo si evidenzia in forma molto evidente durante la prima parte del lancio, poi la ninfa assume una vita dinamica propria, possedendo l’energia sufficiente per compiere una traiettoria,  a differenza di una mosca secca che, se staccata dal finale, tenderà ad arrestarsi e a cadere immediatamente.

Il rapporto quindi tra coda di topo, finale e ninfa deve essere perfetto, questi devono essere quindi in grado di trascinarla e, nello stesso tempo devono garantire una distensione morbida, spegnendone progressivamente la velocità.

Il ruolo della coda e del finale sono a mio avviso determinanti, la prima deve possedere un’inerzia sufficiente a trasportare una ninfa appesantita anche di buone dimensioni, il secondo deve avere una lunghezza tale da garantire una sufficiente progressione nella distensione, in particolare nei lanci più corti.

E’ noto a tutti che un finale eccessivamente lungo determina la perdita di contatto con la ninfa in fase di allungamento, questo risulta un elemento assolutamente negativo sia per il corretto svolgimento del lancio che per la sua direzione, che subisce la traiettoria della ninfa senza riuscire minimamente a modificarla.

Un finale troppo corto, di contro, determina con maggiore facilità la perdita di controllo dell’accelerazione della mosca, arrivando alla distensione con eccessiva velocità e successivo rimbalzo con perdita di precisione e posa molto rumorosa.

Inoltre un terminale troppo corto non consente alla ninfa di raggiungere la profondità voluta, in particolare alle ninfe leggere e/o di piccole dimensioni.

La tecnica Netheravon style elaborata da Frank Savyer credo possa essere considerata la vera base delle varie tecniche di pesca a ninfa, molti grandi pescatori si sono ispirati a questa, Charls Ritz, sulla cui importanza non credo si possa discutere, ha voluto conoscere personalmente Sawyer ed ha trascorso molto tempo insieme a lui nel suo Avon per apprendere a fondo questo modo affascinante di interpretare la pesca con la mosca.

HIGH STICK NYMPHING

Il nostro caro amico Hamlet, ormai esperto pescatore a ninfa, trascorre entusiasmanti stagioni di pesca catturando trote e temoli nei più bei fiumi del mondo, inoltre si appassiona  molto alla tecnica di lancio e diviene un vero virtuoso di questa.

Questa nuova passione lo portò a dedicarsi anche e soprattutto alla mosca secca, in quanto la considerava molto più adatta ai virtuosismi propri del lancio, spesso necessari per venire a capo delle situazioni più complicate, senza però dimenticare mai gli insegnamenti del suo grande maestro Frank.

I lunghi allenamenti sostenuti per migliorare la sua tecnica di lancio lo portarono a passare molto tempo sui prati, lontano dalle acque, e questo un po’ gli dispiaceva, ma lo considerava un momento importante della sua crescita di pescatore.

Nella primavera di qualche anno fa, Hamlet si trovava a pescare in un grosso torrente di fondovalle, le piogge degli ultimi giorni ne avevano alzato un po’ il livello e l’acqua risultava leggermente velata.

Consapevole che non si trattasse della scelta più idonea, iniziò a pescare a mosca secca con un grosso modello di Panama, tanta era la voglia di lanciare cercando, in assenza di bollate, di sondare i sottoriva dove la corrente rallentava notevolmente, sperando nella salita di una trota.

Alla fine del lungo rettilineo dove stava pescando, peraltro senza alcun risultato, vide una figura di pescatore immersa in acqua fin sopra la vita, soltanto il cortissimo gilet che indossava gli consentiva di non bagnarne il contenuto, stava evidentemente utilizzando una ninfa ed aveva già catturato due trote, una di buone dimensioni.

Curioso come sempre Hamlet si avvicinò per osservarlo; la prima cosa che lo colpì fu la lunghezza della canna, certamente oltre  i tre metri, che teneva alta, con il braccio teso, al disopra della testa e la lenza che affondava nell’acqua a breve distanza.

Nel suo perfetto inglese Hamlet lo saluto e questi rispondendo uscì dall’acqua in segno di cortesia, avendo compreso l’intenzione di conversare e magari di chiedere lumi sulla sua tecnica di pesca.

Dopo aver girovagato per il mondo per secoli non ebbe difficoltà a riconoscere nell’inglese di costui uno spiccato accento dell’Europa dell’est, forse di origine polacca, con il quale stava dicendo che tale sistema di pesca a ninfa consentiva di pescare con estrema precisione sul fondo, anche con un artificiale di dimensioni contenute, senza che questo possa essere trascinato dalla corrente, quindi in modo molto naturale.

Per ottenere questo è necessario pescare sotto la vetta della canna, mai più in là, canna che deve essere lunga e tenuta molto in alto cosi da non appoggiare la lenza sulla superficie dell’acqua ed evitare così che questa venga presa dalla corrente sollevando la ninfa e facendola dragare.

Incuriosito da questo singolare stile di pesca, Hamlet volle subito provare e di li a poco ferrò il suo primo pesce, mentre il suo nuovo amico, che doveva essere un vero esperto, continuava nei suoi insegnamenti, in particolare, quando lo vide cercare di allungare un po’ il lancio, gli disse che questo era assolutamente negativo e che i campioni di questa tecnica cercano di non avere mai la coda fuori dalla vetta della canna!

La coda quindi è un accessorio del quale si potrebbe anche fare a meno, tanto la distanza necessaria  è talmente modesta che la lunghezza della canna e il solo peso della ninfa sono sufficienti per raggiungerla, a volte più che lanciare si tratta di “calare” la ninfa in acqua.

Hamlet continuò a pescare finché non fu assalito da uno dei suoi terribili dubbi che preferì per il momento tenere per sé.

La giornata di pesca proseguì sino a sera, poi i due nuovi amici decisero di cenare insieme, conversarono allegramente raccontandosi le avventure di pesca, finché giunse il momento dei saluti e ognuno tornò alla sua vita e al suo modo di pescare.

Passarono i giorni e i mesi e il nostro amico, da solo sulle rive del fiume Avon, osservando la sua scatola di ninfe, ripensava a quella singolare giornata di pesca e a quel modo particolare di interpretare la ninfa; aveva provato qualche volta a pescare così, applicando scrupolosamente tutti gli insegnamenti ricevuti anche nei minimi particolari, ottenendo anche diverse catture, ma il suo cuore era rimasto legato alla lezione di Frank, alla sua raffinata tecnica e al suo fiume, da cui non riusciva a staccarsi, inoltre aveva deciso che il suo orgoglio di lanciatore non gli consentiva di praticare una tecnica dove il lancio veniva totalmente abbandonato per dare spazio ad una gestualità che sembra appartenere ad altre tecniche di pesca poco affini alla mosca.

Ma come sapete la decisione e la fermezza non erano caratteristiche proprie della sua personalità, per cui continuava a rimuginare dubbioso se le sue conclusioni fossero corrette o potessero essere retaggio di una formazione classica, forse un po’ snob e poco incline alle novità, tipica della tradizione anglosassone su cui si fonda molto del sapere della pesca con la mosca.

In fondo, disse a se stesso, cos’è che caratterizza questo “nobile” modo di prendere una trota rispetto alle altre tecniche: una canna da pesca è una canna da pesca, un mulinello, anche di forme diverse è comune a tutte le varie tecniche, le esche artificiali ormai tendono mischiarsi ed interagire tra i vari metodi, forse la cosa che la rende veramente diversa è l’uso di quella lenza pesante che riesce a trasportare lontano anche un’esca totalmente priva di peso.

… allora Hamlet giunse ad una sua conclusione: perché utilizzare un’attrezzatura per la pesca a mosca quando non si usa l’oggetto più importante di questa tecnica?

…. Ma come tutti immaginerete non ebbe mai il coraggio di rivelarla a nessuno.