La voce di Zeus

LA VOCE DI ZEUS
(storia di uomini, canne e dei )
di Roberto Picchiarati
Avevo trascorso due giorni a provare  quel lancio ed ero infine arrivato ad eseguirlo  anticipando la flessione del polso e compensandola con un riallineamento del gomito  . Osservando lo svolgimento del loop cercavo di associare dimensioni e angolazioni dei diversi segmenti di coda alle dinamiche  delle articolazioni. L’esercizio era anche rivolto alla ricerca di una miniaturizzazione  della spinta per ottenere, con  una minor sezione frontale del sistema,  anche  maggiore velocità. Preferisco però trattare in seguito le risultanze delle mie osservazioni, poiché  mi preme più raccontare le circostanze che mi condussero a vivere quella che credo sia stata un’esperienza trascendente  o forse, più verosimilmente, l’insolito palesarsi di una fondamentale intuizione.
Comunque questi sono i fatti . Arrivato al terzo giorno  decisi di cambiare  passando, da canne  ad azione prevalentemente di punta, ad altre con azione più progressiva. La scelta cadde sulla  Sage XP 476; una fra gli attrezzi, per me, più performanti nell’esecuzione della maggior parte dei lanci TLT.
Dopo averla montata,  ripresi inconsapevolmente a lanciare come ero arrivato a fare dopo quei due giorni di sperimentazione, ma con mio grande  disappunto, non riuscii per diversi minuti a fare un loop decente , pur mettendoci grande impegno.
Cosa era successo ? Perché il mio braccio non riusciva ad avere quel minimo adattamento con una canna che conosceva così bene e che tanto apprezzava ? Si, forse il finale  non era un esempio di equilibrio e una decrescenza troppo repentina verso il tip non era d’aiuto , ma questo non era sufficiente  a spiegare quel disagio e quel disastro. L’unica altra spiegazione era quindi da ricercarsi nelle dinamiche del mio braccio . Qualcosa era cambiato ! Dovevo capire e quella canna non mi permetteva di capire.
Corsi  allora a riprendere la  Loomis GLX TLT. La innestai in fretta e con impaziente curiosità iniziai a lanciare. Magicamente  ogni incertezza sparì, il braccio era tornato ad essere l’ubbidiente e consapevole esecutore che la mente ormai da tempo conosceva e apprezzava.
Per chi è appassionato di lancio (forse sarebbe meglio dire ossessionato)  c’è sempre trepidazione nel riprendere una canna in mano. Lo stesso trepidante timore di chi attende di incontrare, dopo qualche tempo,  la donna che ama. E come è rassicurante vedere che lo sguardo dell’amata continua a celare passione e complicità, così è corroborante assistere al ripetersi della magia di una coda che, comandata dal nostro braccio, da forma al desiderio prendendo dallo stesso desiderio la forma. Credo che in qualche modo anche il lancio possa essere per noi, come altre cose, una “droga”. Comunque, in quella circostanza bastò carezzare la Loomis   per capire che era ancora quella di sempre, tanto nervosa quanto ubbidiente con la sua azione discontinua, pensata per isolare la vetta dal corpo canna  e con quel terzo anteriore che sembra  uscito dalla fucina dei fulmini di Zeus .
Fu in quel momento che la voce tornò a farsi sentire: Come si carica una canna ? Ragiona !! Possibile che una tale evidenza non ti salti agli occhi ? . Questa era la domanda che mi rimbalzava nella testa da qualche tempo, ma io l’avevo sempre catalogata  fra quei pensieri ricorrenti che tendono ad occupare la mente quando qualcosa  ti appassiona  . Stavolta no … l’avevo sentita chiaramente e la voce proveniva da un punto esterno al mio cervello. La frase era stata nitidamente pronunciata da una voce  lievemente afona che però risuonò intorno a me  in maniera  roboante. Il tono era  cordiale e  perentorio al tempo stesso, come se la domanda non fosse stata posta presupponendo una risposta .
Difatti poco dopo la misteriosa voce tornò a farsi sentire e stavolta con un tono fra il rimprovero e la commiserazione :  Ora avrai capito spero !?!  Sei ancora veramente convinto di poter lanciare caricando prima il pedone e poi  la vetta ?. “. E dopo qualche attimo di silenzio concluse dicendo :”Uomini, uomini , non vedete nemmeno attraverso ciò che è limpido !” .
Il tempo e tutto in me ed intorno a me si paralizzò  dentro un istante interminabile. In quel silenzio innaturale si palesò in me, nella sua sconcertante semplicità, la risposta al rovello  che mi teneva impegnato da giorni .  Cominciavo finalmente a comprendere, o forse meglio, a vedere ciò che  mi era stato sempre davanti agli occhi. Come si carica una canna?  Sempre  e inevitabilmente per mezzo della parte dove è applicato il peso, cioè attraverso la vetta, poi progressivamente, giù fino al pedone. Certo le masse dell’attrezzo e le loro distribuzioni , cioè i taper, influiscono nella dinamica, ma se per lanciare un  esiguo peso non serve il pedone perché ero costretto aspettare o far in modo di caricarlo  per usare la vetta ? E’ da questa necessità , imposta da attrezzi continui nell’azione e troppo molli, che deriva la limitazione nel poter gestire lo scaricamento della vetta dopo il Momento Spinta. Per loro natura gli attrezzi molli impongono un caricamento del pedone senza lo “stiramento” del quale  è impossibile trasmettere efficacemente quel surplus di energia che,  prodotto dal nostro braccio, deve arrivare sino alla vetta .  Inoltre,  la  flessione di ritorno del pedone costituisce ulteriore elemento di disturbo e interferenza per l’ammortizzamento, in una tecnica nella quale, a differenza di quella tradizionale, lo scaricamento avviene comunque  in avanzamento e non attraverso uno stop.
In verità le implicazioni legate  alle sollecitazioni dell’attrezzo sono solo l’aspetto pratico del problema, che pur essendo essenziale, da solo, non è sufficiente a spiegare ed a tradurre le azioni  del lanciatore in efficaci forme e velocità della coda  . Difatti tanto più la spinta è concentrata nell’attimo, tanto più tenderà a perdere di significato in senso fisico per assumerne uno maggiore in senso mentale. Si avrà , pertanto, necessita di definirla in termini concettuali. In questo senso possiamo dire che ogni altra fase del lancio è progressiva e quindi appartiene al tempo, la spinta perfetta invece  non dovrebbe avere estensione temporale , tendendo ad identificarsi conclusivamente con la primigenia idea di spinta/non spinta. Concetto questo che forse è definibile correttamente solo facendo ricorso alla forma poetica dell’ossìmoro: “l’immobile spinta”.
Questa è la strada . La fisica , il nostro braccio, l’attrezzatura , tutto ci è di ostacolo per avvicinarci all’idea primigenia, ma questa è la strada. Dobbiamo miniaturizzare l’impulso di energia dentro la dinamica del lancio, renderlo autonomo temporalmente, producendo una singolarità nella progressione. Farlo esistere e scomparire nello stesso istante e nell’istante giusto .
Solo così una canna nata nella fucina degli dei potrà essere usata dagli uomini e solo in questo modo  potremo tentare di avvicinare il nostro personale  limite per scoprire poi, che  ogni traguardo è illusorio e che ogni limite raggiunto ne pesuppone uno di grado più elevato. Così, se si ha l’umiltà e la volontà di accettare il sacrificio che ogni successivo limite impone, si finisce inevitabilmente per essere  trascinati verso l’alto lungo una strada che forse non conduce  a nessun glorioso Olimpo, ma che è bello pensare  sia diretta verso una vetta, tanto mirabile quanto irraggiungibile, chiamata “perfezione” .