Pesce Siluro. Un interrogativo dovuto

Pesce Siluro. Un interrogativo dovuto

Un interrogativo dovuto. O quanto meno una domanda che dovrebbe sorgere, in tutti noi.
In tutti i pescatori, intendo, in senso lato. In tutti noi amanti dei fiumi, della natura in genere. In tutti quanti si affacciano alla spalletta dell’Arno per dare un’occhiata. Nonostante il fluire dell’acqua sia molto lento rispetto ai nostri parametri e nonostante non ci si aspetti di vedere una bollata, diamo un’occhiata – non nascondiamoci – più o meno fugace a quell’alveo a cui tutti siamo in qualche modo affezionati. Vorremmo tanto che gli argini fossero puliti e la vegetazione ricca e che la popolazione dei volatili fosse composta solamente da gallinelle, anatre e piccoli aironi. Non certo da piccioni, né tanto meno da cormorani.

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Entriamo in acqua, idealmente: ci si aspettano cavedani, carpe, scardole, savette, barbi, carassi e quanto altro concerne il mondo sommerso abitato da ciprinidi e affini. E invece vediamo le code lunghe, brune e affilate, dei siluri. Specie alloctona che nulla teme. Caldo o freddo, non fa differenza. Troppo caldo e siccità sì, probabilmente, ma non nessuno si augura che siano mai queste le condizioni dell’Arno. I siluri sono stati seminati per la pesca, per la pronta-pesca, senza considerare l’impatto ambientale devastante che un animale del genere può portarsi appresso. Perché? Ecco il mio interrogativo dovuto. Perché tanta poca attenzione? Non ci voleva un genio dell’ecologia, mi si permetta.
Le alborelle, dove sono finite? Si pescavano le alborelle quando ero bambino. Non con la mosca artificiale, ovviamente, ma oggi da pescatore TLT – che dalle nostre parti fa rima con “consapevole” – a me dispiace enormemente dover constatare l’antropizzazione di un ambiente che non lo merita affatto. La colpa non è dell’animale, sia ben chiaro. Il siluro non è arrivato da solo, gli sono state (in)consapevolmente aperte le porte di un nuovo paradiso. Nessuna frontiera, oggi fa il bello e il cattivo tempo in un fiume che fino a pochi anni fa apparteneva ai (pesci) fiorentini. Ma le stesse considerazioni possono essere riportate in Piemonte, in Veneto, nel Lazio e chissà in quante altre occasioni e situazioni che vivono delle stesse dinamiche invasive e sconsiderate.

Segue un documento ufficiale, dal quale prendo deliberatamente in prestito un breve brano:

“Applicando i suddetti parametri alla popolazione ittica presente tra la pescaia di S. Niccolò ed il ponte alle Grazie (650 m), su cui disponiamo di stime quantitative più precise (NOCITA A. 2009), si ottengono stime sulla predazione che per analogia possono essere estrapolate all’intero tratto cittadino. Nei campionamenti effettuati il 21/10/2008 con reti ed elettrostorditore sono stati catturati complessivamente 276,95 kg di siluri, su un catturato totale di 321,71 kg, che costituiscono la consistenza minima certa della specie nel tratto campione. Stimando prudenzialmente nell’1%-2% del peso corporeo il fabbisogno alimentare giornaliero, i siluri campionati, che naturalmente rappresentano una sottostima di quelli effettivamente presenti, consumerebbero giornalmente 2,77-5,54 kg di pesce, pari a 593-1.185 kg nel periodo aprile-ottobre. L’interpolazione dei dati delle catture con i rilievi effettuati con ecoscandaglio ha portato a stimare in 1,145 t la consistenza complessiva della biomassa ittica nel tratto fluviale esaminato. Considerando che i siluri costituiscono l’86% della biomassa ittica catturata, si può stimare il popolamento complessivo di siluro in 985 kg, per un fabbisogno alimentare di 9,85-19,7 kg/giorno, pari a 2,1-4,2 t nel periodo aprile-ottobre”.

Stitched Panorama

Da dieci a venti chili di pesce al giorno, solo tra i ponti San Niccolò e Le Grazie.

Ho detto tutto.

Vanni Marchioni